Frammento de "Una storia medievale"

L’opera si conclude con una passerella fantastica di tutti i personaggi della storia:
E nelle calde e profonde notti d’estate convengono, in una fantastica assemblea, risorti dalla polvere di dimenticati siti, gli spiriti degli antichi Ernici costruttori delle possenti mura. I giganti dal volto esangue ascendono lenti e silenti le strade che conducono alla spianata dell’acropoli in una lunga teoria.
Dalle regioni remote di quello che fu l’immenso impero di Roma, tornano i legionari che per essa caddero combattendo nelle gelide selve della Germania e della Scozia che conquistarono con Giulio Agricola, al suono delle fistulae (zampogne).
Dagli altopiani dell’Anatolia e dell’Illiria e dagli infuocati deserti egiziani, gli ignoti militi arrivano alla grande assemblea dei senza tempo con in testa i loro centurioni.
Avanza maestoso su un cavallo baio il console di Roma Aulus Hirtius. Un gigantesco schiavo della Gallia belgica gli tiene il cavallo per il morso e mezza dozzina di scribae lo seguono ordinati: tutti hanno le orbite vuote.
Marco Antonio de Montelongo incede solenne dando il braccio alla dolce Artemisia, sempre bellissima, anche se i capelli sono tutti candidi. Dietro di loro Pietro e Paolo, Cirrone, mastro Ambrosius e il capitano Costantino Porsenna, il canonico Pettorini e il gonfaloniere Necci, procedono in gruppo guardando fissi dinanzi a loro mentre Arcangelo Iori, incespicando per la lunga veste, cerca di raggiungerli: e tutti si assidono su una lunga panca al centro della piazza gremita.
Una lieve brezza scompiglia i capelli color cenere di quella moltitudine e una sensazione di composta attesa si diffonde tra i presenti.
Da un lontano infinito echeggia l’argenteo squillo di una tromba e appare, su una lettiga portata a spalla da giganteschi schiavi, il Patrono dal cuore d’oro: Aulus Qinctilius Priscus.
Tra la folla muta la portantina viene adagiata a terra e i portatori si siedono sul selciato.
Su un cavallo alato circondato da aquile bianche ecco Gregorio de Montelongo, patriarca d’Aquileia, marchese d’Istria e Carniola, duca del Friuli, con l’ampio piviale dorato e la mitria ricoperta di gemme.
Sul petto del Metropolita risplende la croce d’oro simbolo della sua alta dignità. Al fianco gli pende la spada dall’elsa aurea che usò alla testa delle milizie lombarde e plana vicino alla facciata della cattedrale attorniato dalle sue aquile.
Una breve pausa nella quieta staticità dei presenti ed emerge dal buio della galleria, a occidente dell’acropoli, la schiera dei martirizzati dai divini Cesari che vedevano i loro troni insidiati dagli adoratori disarmati di un Galileo Crocifisso. Alla loro testa troneggia su un cavallo baio un centurione dal volto bambino con la lorica ricoperta di ricompense: è l’unico colorato in un raduno di uomini stinti. Impugna l’asta di una lancia che al posto della punta ha una croce di fuoco.
All’apparire del cavaliere tutti si alzano in piedi e si inchinano silenziosamente.
Si spalancano le tre porte del tempio illuminato da mille ceri.
Trascorre un tempo indefinibile.
E mentre le porte stanno per chiudersi dinanzi alla piazza deserta, Arcangelo Iori tenendo la toga sollevata riesce a superare l’uscio con un piccolo balzo.
I battenti si chiudono inesorabilmente.
Ancora qualche attimo di silenzio e un lento salmodiare inizia nella melodia del gregoriano, piano, piano si amplifica e finalmente esplode:

IUBILATE DEO, OMNIS TERRA:
SERVITE DOMINO IN LAETITIA !